Il lato oscuro di Facebook


27 Febbraio 2019

Il lato oscuro di Facebook

Il lato oscuro di Facebook. C’è chi racconta di avere incubi la notte, chi durante una riunione ha l’impellente bisogno di scappare e piangere, chi ha sviluppato fobie (per i coltelli ad esempio), chi dorme con una pistola sotto il cuscino. Qualcuno ha sviluppato una specie di passione per le battute macabre e offensive, qualcun altro non è più in grado di distinguere la finzione dalla realtà.

La vita del moderatore di contenuti di Facebook è un incubo: ore e ore seduti dietro a un pc a leggere insulti, offese, commenti violenti, razzisti, minacce. Sottoposti a migliaia di post, video, immagini raccapriccianti, omicidi, pornografia, razzismo.

Il lato oscuro di Facebook
L’inchiesta di The Verge contro Facebook

A raccontarlo è un’inchiesta di The Verge, firmata da Casey Newton, che ha come protagonisti i dipendenti della società Cognizant a Phoneix: nell’articolo si racconta la vita dei content moderators, i moderatori che devono fare “pulizia” all’interno della piattaforma.
L’argomento, purtroppo, non è nuovo: se n’era già parlato anni fa su Wired (2014, articolo di Adrien Chen) e lo scorso anno con “The Cleneaners”, un film di Hans Block e Moritz Riesewick.
The Verge riporta l’attenzione sullo sfruttamento del personale (economico e psichico) e sulle possibili conseguenze sullo stato di salute: si parla di attacchi di panico, incubi e distorsione della realtà.

Il lato oscuro di Facebook
Dal call center al moderatore di contenuti su Facebook

Nei primi anni 2000 si pensava che uno dei lavori psicologicamente più stressanti fosse l’impiego in un call center: ora la nuova trincea sembra essere diventa il Social di Mark Zuckerberg.

Cosa fa il moderatore di contenuti su Facebook?

Il lato oscuro di Facebook. I moderatori di Facebook devono controllare la piattaforma, scrutinarla, eliminando contenuti inappropriati, quindi violenti, discriminatori, complottisti o pornografici.
Il criterio ovviamente non è soggettivo: Facebook ha stabilito delle linee guida da seguire, se hanno dubbi possono rivolgersi alla community o consultare un altro documento di 15mila parole. Tutto a posto dunque.
E invece no, perché – confidano i dipendenti in anonimato – queste regole sono continuamente aggiornate (da ogni 15 giorni, a più volte in un giorno) e spesso i moderatori rischiano di non saperlo o di perdersele, di confondersi, quindi di commettere errori, abbassare il loro punteggio ed essere addirittura licenziati.

Come si modera un post su Facebook?

Non è semplice moderare un post, come forse si pensa, facciamo un esempio con la parola odio.
Va eliminata direte voi, e invece no, dipende: “Odio tutti gli uomini” è una frase da rimuovere, a differenza di “mi sono appena lasciata con il mio ragazzo, odio tutti gli uomini” che invece può restare.
Per i moderatori quindi non si tratta solo di decidere se rimuovere o meno un contenuto, ma anche di selezionare correttamente la motivazione.
Se la sbagliano, il loro punteggio cala.
Lo stress dei moderatori dunque deriva, oltre che dai contenuti a cui sono ininterrottamente sottoposti, anche dal costante rischio di perdere il lavoro: bastano pochi errori, qualche post flaggato come vietato quando in realtà non lo era, per essere eliminati.

Cosa rischia un content moderator di Facebook?

Questa esposizione quotidiana a violenza, minacce, video osceni, discriminazioni etc. ha spesso delle brutte conseguenze: vista l’attenzione maniacale che gli impedisce di staccare gli occhi dallo schermo, i moderatori di Facebook rischiano danni alla vista; le immagini violente si ripresentano nei loro sogni; iniziano a temere per la loro vita e per quella dei loro cari; potrebbero soffrire di disturbi post-traumatici da stress e disturbi d’ansia; se non si ammalano finiscono per diventare cinici e insensibili.
Un’altra paura costante – raccontano i dipendenti – è quella di vedere un ex collega licenziato, tornare in ufficio per farsi giustizia in modo violento.

Cosa risponde Facebook?

Facebook dice di voler cambiare in meglio la vita di queste persone, spesso esposte a continui traumi psichici, migliorare le loro condizioni lavorative e contrattuali. Sarà fatto? E sarà abbastanza?

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